La possibilità di arrivare un giorno non lontano a una società senza aborti non è utopia, né pretesa infondata. Sembra un proclama assurdo nel quarantesimo anniversario della ‘194’, una legge che nasce segnata da due grandi assenze, i diritti del bambino e la sofferenza della donna. Ma proprio chi da 40 anni lavora per la salute della donna e del bambino, come Giuseppe Noia, si dice convinto che i margini per ridurre – se non azzerare completamente – l’aborto terapeutico esistono e vanno perseguiti con coraggio e determinazione.

Nessuno obiettivo ideologico. Sarebbe fuori posto per una persona che è tra le massime autorità scientifiche sul fronte della vita prenatale, docente e ricercatore, oltre che direttore dell’hospice prenatale del «Gemelli » di Roma. Quindi solo rispetto della realtà. A cominciare dai dati. Oggi solo il 10% degli oltre 80mila aborti cosiddetti ‘terapeutici’ («ma che terapia è un intervento che uccide il figlio e danneggia gravemente la madre?») praticati in Italia è motivato da abbandono terapeutico, amplificazione del rischio o ignoranza della possibilità di intervenire con efficacia per ridurre il danno in fase prenatale. Poi c’è un 50% determinato da cause sociali (povertà, solitudine, dinamiche familiari sfavorevoli) e un altro 40% da cause ‘culturali’ (pretesa di autodeterminazione assoluta, volontà di rifiutare la presenza del figlio).

Come e dove è possibile incidere? «Dobbiamo e possiamo intervenire sulle cause sociali e culturali ma innanzi tutto – osserva il professor Noia – dobbiamo diffondere una più corretta conoscenza medica, a partire da tutto quello che sappiamo sulla relazione fortissima tra madre e figlio fin dal concepimento. Già nel novembre 2000, quindi 18 anni fa, il British medical journal, spiegava in un editoriale che dalla relazione biologica tra madre e bambino deriva il benessere futuro della persona. Come ignorare per esempio il fatto che il figlio manda alla madre cellule staminali terapeutiche? Tutte queste conoscenze scientifiche che si vorrebbero silenziare si traducono in una grande perdita di umanità ».

Ma quando, al contrario, vengono divulgate si aprono anche tra i medici prospettive sorprendenti. Qualche mese fa Noia ha diretto un corso di formazione a cui erano presenti anche una cinquantina di medici abortisti. Ha spiegato loro le varie possibilità di intervento in fase prenatale sulla base delle sue ricerche – dalle analisi sull’igroma cistico alla somministrazione di antiossidanti per ridurre il deficit cognitivo nella sindrome di Down – e tanti di quei medici non solo hanno ammesso di ignorare queste evidenze, ma hanno avuto il coraggio di dichiarare la propria indisponibilità a proseguire nelle interruzioni di gravidanza.

Con qualche lacrima che professionisti di lunga carriera non si sono preoccupati di nascondere. «Quando ci si domanda perché sono aumentati così tanto i medici obiettori – prosegue l’esperto – la risposta più semplice e più vera è: maggiore consapevolezza. Quando anestesisti e ginecologi comprendono cos’è la simbiosi materno-fetale e quello che comporta, non possono che schierarsi a favore della vita».

Solo ragionando sull’evidenza scientifica possiamo arrivare a dire che l’embrione è un essere umano. Solo sulla base di un’informazione scientifica e medica controcorrente possiamo per esempio sperare di incidere sui numeri dell’aborto eugenetico. «L’umanità della sofferenza viene salvata da una scienza che guarda con un occhio rispettoso tutte le diversità prenatali. Con il criterio dell’efficienza e dell’eugenismo invece – conclude il professor Noia – questa ricchezza non la vedremo mai. Rispettare l’essere umano dal concepimento alla fine naturale è l’abc dell’esistenza. E da questa speranza dobbiamo ripartire».

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