La diagnosi prenatale: il confine tra l’etica e la scienza e l’evoluzione del feto come paziente
Nell’attuale panorama della cultura prenatale, diventa indifferibile una rivisitazione epicritica della esperienza di Diagnosi Prenatale presso la Nostra Istituzione, relativa a circa 40 anni di attività, condivisa con l’Istituto di Genetica Umana.
È, oltremodo, evidente che il cammino intrapreso all’inizio, ci poneva ad un bivio:
- Non entrare nell’agone della diagnosi prenatale, perché fatalmente implicata nella individuazione di feti con eventuali anomalie cromosomiche e/o strutturali e, quindi, propedeutica alla possibile scelta, da parte della coppia, dell’aborto eugenetico.
- Entrarvi, al contrario, con la nostra specificità etico-culturale: “conoscere” le condizioni del feto avrebbe rappresentato la prima delle due fasi della diagnostica prenatale, mentre il referto e il successivo counseling ne rappresentava la seconda e quella fondamentale, in cui il diagnosta poteva presentare efficacemente (face to face) la realtà della diagnosi prenatale, il significato del risultato e le varie prospettive anche positive per il rispetto della vita.
Venne coraggiosamente scelta la seconda opzione, che comportava «sporcarsi le mani», per offrire un servizio alla dignità della persona, nella convinzione che accostare coppie, provenienti da diversi strati socio-culturali, che richiedevano la diagnosi prenatale, avrebbe reso possibile il raggiungimento di tre obiettivi:
1° Informare “correttamente”, circa il significato e le metodologie delle tecniche invasive della diagnostica prenatale, sui rischi abortivi che comportano, ottenendo al contempo una riduzione della proiezione amplificata dei rischi di anomalie.
2° Ottenere una valutazione globale del benessere fetale, con l’integrazione della ultrasonografia, per eventuali terapie pre e/o perinatali, eseguite con un rischio proporzionato ed eticamente accettabile.
3° Supportare il principio di dignità e sacralità della vita umana, anche quando gravata da handicap di varia entità, non può ragionevolmente essere sottoposta a terapia, proponendo percorsi di palliazione prenatale nocicettiva e/o clinica e di accompagnamento medico-scientifico e familiare-testimoniale del proprio bambino con la grave fragilità prenatale.
Cosa ha significato questa scelta, sul piano dell’impatto psico-sociale e nel mondo scientifico, riguardo le speranze che l’hanno accompagnata? Soprattutto, la diffusione della cultura della “verità scientifica”, nei confronti delle concezioni e delle ideologie confuse, circa il mondo prenatale e la vita nascente e in particolare contrastare quella cultura, purtroppo molto diffusa, che ritiene che eliminare il sofferente equivalga a eliminare la sofferenza. I punti salienti che sono stati :
a la diagnosi prenatale non è propedeutica all’aborto eugenetico ma, al contrario, tranquillizza la madre, utilizza la conoscenza del benessere fetale, nel management delle gravidanze ad alto rischio e permette un approccio terapeutico pre e/o perinatale.
b la prevenzione primaria significa eliminare la causa di una malattia e non il malato
c l’ultrasonografia vede molto ma non vede tutto: grande dignità per questa metodologia, sia per la sua elevata capacità di risoluzione diagnostica, sia per la sua fondamentale importanza nel guidare l’esecuzione di tecniche terapeutiche invasive, senza però una sua assolutizzazione ( il “ dection rate “ non supera il 60%, come molte metanalisi hanno dimostrato ).
d il feto è un paziente a tutti gli effetti, e come per la medicina dell’adulto, esiste un braccio diagnostico e uno terapeutico, anche per la medicina fetale è doveroso considerare una fase diagnostica, oggi molto amplificata, e una fase terapeutica, attualmente poco diffusa e applicata.
In ultima analisi, è stato scelto un approccio al mondo prenatale, scientificamente equilibrato e razionale, condotto sui binari del discernimento etico e finalizzato sia alla difesa della vita nascente che all’impedimento di un accanimento terapeutico esecrabile e con particolare riguardo alla salute della madre.
Analizziamo qualche risultato
1.Il 30% delle coppie richiedenti la diagnosi prenatale invasiva, rinunciavano alla sua esecuzione, dopo il colloquio preliminare.
2. Circa il 98% delle pazienti che si sottoponevano alla metodica, venivano tranquillizzate dai risultati di normalità del cariotipo (ad esempio in un periodo di 3 anni, sono state effettuate 700 amniocentesi con risultato tranquillizzante e proseguivano la gravidanza).
3. Su 160 (39 %) pazienti con risultato di feto patologico dal punto di vista cromosomico, 30 pazienti (21 %) hanno optato per la prosecuzione della gravidanza.
4.L’acquisizione esperienziale di tecniche invasive ecoguidate e la loro ottimizzazione, ha reso possibile l’esecuzione di tali metodiche, con un rischio abortivo molto basso legato alla procedura: nella nostra esperienza, per l’amniocentesi, lo 4%, rispetto all’1% della Letteratura; per la cordocentesi, lo 0.6%, rispetto all’1.5-2% della Letteratura.
5.La gestione longitudinale di gravidanze con gravi malformazioni fetali ha reso possibile la conoscenza della vera storia naturale di numerose anomalie fetali congenite, che classificavano tali feti come « lost considered ».
Tutto ciò ha avuto come conseguenza il riscrivere il counseling, utilizzando criteri più scientifici e metodologicamente più avanzati e “riaprendo” finestre di terapia, pre e/o perinatali: vedi ventricolomegalia isolata, malformazioni urinarie, difetti toracici, idropi fetali non-immuni, tachiartmie fetali, uropatie ostruttive gravi, igromi cistici, cardiopatie fetali strutturali.
6. Un tale approccio alla vita prenatale ha comportato, altresì, la necessità di implementazione di studi nell’animale sperimentale, la diffusione di lavoro di gruppo con i criteri della interdisciplinarietà e multidisciplinarietà (sinergie con neonatologi, pediatri, cardiologi pediatri, anestesisti, chirurghi pediatrici, neurochirurghi infantili, ostetriche, infermiere, psicologi e neuropsichiatri), sul piano clinico e speculativo. La finalità è stata una corretta diffusione della cultura della prevenzione primaria.
7. Creazione di modelli di xenotrapianto prenatale di cellule staminali, nell’ovino, finalizzati alla terapia di malattie genetiche, come la beta-talassemia.
- Nascita di collaborazioni inter-ospedaliere (Specialisti dell’Ospedale Bambino Gesù, gruppo GIRTEF) per la creazione, nell’animale sperimentale, di modelli di malformazioni e la loro correzione mediante chirurgia fetale aperta.
- Diffusione di una “corretta” cultura della prevenzione primaria: attività del Telefono Rosso, per la valutazione del rischio teratologico, pre- e peri-concezionale.
- Pianificazione e nascita dell’Hospice Perinatale-Centro per le Cure Palliative Prenatali- S. Madre Teresa di Calcutta – Policlinico A. Gemelli.
- Sinergia operativa nell’accompagnamento e affiancamento delle famiglie gravate da gravi patologie fetali con la Fondazione Il Cuore in una Goccia ONLUS.
- Creazione di “Sportelli di Accoglienza per le Maternità Difficili” su tutto il territorio nazionale come trait d’union tra il territorio stesso e l’Hospice Perinatale.