“Su 10 parti di saggezza 9 sono a Gerusalemme; su 10 parti di bellezza, 9 le trovi a Gerusalemme e su 10 parti di bontà 9 le possiede solo Gerusalemme”.
Non so quanti di noi conoscessero questo aforisma, ma come medici e colleghi della nostra Università abbiamo aderito all’invito di Don Decio per vivere un’esperienza in Terra Santa, dal 1 al 9 Gennaio 2006.Il tema del pellegrinaggio era “Vi darò un cuore nuovo”: sono stato attratto da questo tema perché come medico sento il bisogno di rinnovare la mia vita e come sempre accade quelle parole di Gesù rappresentavano una “buona novella” per me e per quelli che lo cercano continuamente con cuore sincero. Il pellegrinaggio si è snodato secondo una metafora che collegava i luoghi con l’ideale cammino di conversione. Dal deserto del Negheb e dal Mar Morto ( 400 metri sotto il livello del mare e in uno scenario paesaggistico bellissimo ) siamo risaliti a Gerusalemme dove abbiamo “toccato” con mano i luoghi del Signore.
Certamente è stato difficile leggere nei luoghi e nei fatti la bellezza, la saggezza e la bontà di Gerusalemme: anzi lo “scandalo” di una continua guerra dichiarata tra opposte fazioni, la durezza dei luoghi, la povertà evidente, il ritualismo senz’anima e spesso, soprattutto, l’indifferenza dinanzi al grande mistero dell’Amore di Dio, ci hanno riempito il cuore di tristezza e ci hanno fatto pensare a una Gerusalemme senza tempo e senza spazio, la nostra Gerusalemme, la società in cui viviamo, la nostra vita, tutta intrisa di cose importanti senza la “cosa” più importante: la centralità di Gesù Cristo e del Suo messaggio.Eppure tutto è avvenuto lì, dove la contraddizione tra il grande messaggio di Gesù e la povertà e la pochezza dei luoghi e della gente ci colpisce. E’ lo stile di DIO che sceglie le cose che sembrano (al nostro giudizio) meno adatte e che si muove non nella grandezza e nella maestosità, ma secondo una “brezza leggera”, qualcosa di molto semplice e umile che riesci a cogliere solo se hai gli occhi di un bambino, cioè gli occhi del cuore.
Mi sono chiesto allora: come posso recuperare questo “tesoro” che dà un senso alle mie fatiche scientifiche, cliniche ed umane? Dove posso contemplare e amare (ho bisogno di contemplazione in questo mondo in cui tutti parlano e la verbosità senza contenuti è dilagante, ho bisogno d’amare “veramente” in un contesto storico dove questa parola è inflazionata da egoismo, individualismo ed edonismo)? Mi è venuto in soccorso il pensiero della Galilea, i luoghi che abbiamo visitato negli ultimi 2 giorni, il Tabor, il Monte delle Beatitudini. E’ lì che ho capito come ritrovare il tesoro della centralità di Cristo: il cammino delle beatitudini costituiva un capovolgimento radicale delle consuete valutazioni umane, quelle dei farisei, per esempio, che ravvisavano nella felicità terrena la benedizione e il premio di Dio, viceversa interpretando l’infelicità e la sventura come un castigo. L’uomo antico (e anche quello moderno) anche presso il popolo d’Israele, aveva cercato la ricchezza, la gioia, la stima, il potere considerando tutto questo fonte di ogni felicità.
Gesù propone una via diversa. Esalta e beatifica la povertà, la miseria, la misericordia, la purezza e l’umiltà. A questa dimensione personale, interiore, che si correla pienamente alla frase di Giovanni Paolo II “ Se vuoi trovare la sorgente, devi andare contro corrente” si affianca la dimensione propria del nostro operare medico. “Come puoi dire di amare Dio che non vedi se non ami il prossimo che vedi?”. E come si traduce, nella pratica, per noi medici l’Amore? Chi è il nostro prossimo? Usando la professionalità, la preparazione e l’impegno didattico, usando la fantasia e la rigorosità metodologica nella ricerca, guardando con giusta ambizione ed equilibrato distacco la carriera, il prestigio e il denaro, curando il rapporto con chi soffre ( chiunque e per qualsiasi sofferenza fisica e psicologica) come Madre Teresa ci disse alcuni anni fa, proprio a noi medici del Policlinico Gemelli “ Voi siete dei privilegiati perché quando toccate con la parola ( l’anima ) e con le mani ( il corpo ) la persona malata e sofferente, voi toccate Gesù Cristo sofferente.
Ricordatevi quindi, che tutto ciò che fate segue la legge delle 5 dita, ciascuna per una parola:” I do it for Jesus “ “Io faccio questo per Gesù”.
Un’ ultima annotazione: quel viaggio e quei luoghi ci hanno fatto conoscere meglio. Spesso non abbiamo la dimensione umana più vera del collega e i pregiudizi e le dicerie annebbiano e rendono povera la convivenza nel luogo di lavoro. Tra noi, in quei giorni, si è sviluppata un’amicizia sincera, fatta di momenti comuni di ilarità, di preghiera, e di riflessione. Come è vero che il cuore nuovo da ottenere inizia dalle piccole cose di ogni giorno e con le persone che saluto distrattamente: la ricchezza umana di ognuno va riscoperta e se guardiamo un po’ più con gli occhi del cuore tanti inutili conflitti svaniscono.
“Se vuoi cercare la sorgente devi andare contro corrente”. (Giovanni Paolo II).