Circa 45.000 prestazioni, di cui 38.000 non invasive (cardiotocografia, flussimetria doppler, ecografia bidimensionale e tridimensionale) e 7.000 invasive (amniocentesi, cordocentesi), sono state eseguite come prestazioni globali presso il Day hospital ostetrico del Gemelli. Il 10% di queste prestazioni negli ultimi anni sono state erogate a favore di pazienti extracomunitarie con particolare prevalenza di donne provenienti dall’Europa dell’Est e dal Sud America, in virtù dello stretto collegamento con il Segretariato sociale di Roma e i numerosi consultori pubblici, con i centri di accoglienza per ragazze madri, con la Caritas diocesana con un incremento dei parti per le extra comunitarie del 50%.
L’occasione per illustrare alcuni dati dell’attività della struttura assistenziale del Gemelli è data dal convegno “La Difesa della vita nascente”, che la Scuola di Specializzazione in Ginecologia e Ostetricia dell’Università Cattolica di Roma promuove per fare il bilancio di 30 anni di operatività del Day hospital ostetrico del Gemelli, che si è svolto lo scorso 5 dicembre nell’Aula Brasca del Policlinico universitario dell’Ateneo del Sacro Cuore. Una giornata di lavori, per fare il punto della situazione sulla difesa della vita prima, durante e dopo il concepimento, grazie all’incontro con laici, religiosi, esperti e soprattutto le famiglie e le testimonianze della associazioni che si battono per la difesa della vita.
Il convegno, presieduto dai ginecologi della Cattolica Alessandro Caruso e Giuseppe Noia, è stato l’occasione per la presentazione dell’Associazione italiana ginecologi ostetrici cattolici (Aigoc). «L’associazione, d’ispirazione cattolica – spiega il presidente Noia, responsabile del Centro di Diagnosi e Terapia Fetale del Policlinico Gemelli – nasce in un periodo storico della società italiana in cui il valore ‘vita’ in tutte le sue espressioni viene fortemente colpito». L’Aigoc intende inserirsi nell’attuale dibattito culturale, proponendo un linguaggio basato sui dati scientifici e sui fondamenti filosofici, giuridici e antropologici, per aprire spazi di riflessione sulla dignità della persona umana accettabili da credenti e non credenti perché fondati sull’evidence based medicine.
«Nel novembre del 1979 il day hospital ostetrico del Gemelli – racconta Noia – aveva solo un ecografo di seconda generazione che veniva utilizzato per varie forme di patologie materne e fetali: accertamenti citogenetici, malformazioni fetali, malattie infettive in gravidanza e varie patologie indagabili prenatalmente con l’obiettivo di una cura prenatale o subito dopo la nascita del bambino. Oggi il Day Hospital opera come centro di eccellenza nella diagnosi pre-natale e terapia fetale con un’organizzazione logistica integrata fra il Pronto Soccorso, gli ambulatori e i reparti di degenza di patologia ostetrica, di ostetricia e ginecologia disfunzionale, secondo una visione a 360 gradi della maternità».
Una peculiarità nata negli ultimi sette anni è quella dello stretto collegamento con alcune associazioni di famiglie, come La Quercia millenaria onlus, che hanno fatto esperienza con i feti terminali, quei feti cioè che sulla base della loro storia non erano considerati compatibili con la vita. È possibile accedere per la visita al Day hospital con prenotazione telefonica ai numeri 06 30156782-4302-4636 dal lunedì al sabato, ore 8.30 -14.00.
Ma il vero problema dell’attività di diagnosi prenatale come aiuto alla vita e alle famiglie è un accurato counselling ginecologico, che venga realizzato senza scorciatoie, nell’esclusivo interesse del nascituro e dei genitori. «La diagnosi prenatale – afferma Noia – non può certo essere intesa come mezzo di selezione dei soggetti ‘imperfetti’, ma è quella scienza che vede nel feto o nell’embrione la persona, il paziente, con la sua normalità o le sue anomalie. Uno dei momenti più salienti dell’iter diagnostico prenatale – sottolinea il ginecologo, primo presidente Aigoc – è il counselling, la giusta e corretta informazione da dare alla donna e alla coppia, che vivono il problema del quadro malformativo del proprio bambino. Prima di procedere negli accertamenti il medico deve informare in modo accurato e completo la mamma, ma soprattutto dopo la diagnosi deve parlare con serenità e professionalità, valutando il rapporto rischio/beneficio e spiegando le procedure terapeutiche necessarie, per promuovere una giusta difesa della vita debole in formazione». La convinzione del professor Noia deriva dalla sua lunga esperienza professionale che lo ha visto seguire molti quadri malformativi – 150 casi di malformazioni all’anno – fornendogli uno strumento di elaborazione della storia naturale di molte patologie, osservate ecograficamente, e confrontati con i follow up a distanza. «Risultati che sono in parte dovuti al coraggio delle numerose coppie che hanno accettato procedure non molto tempo fa ritenute sperimentali, piuttosto che ricorrere all’interruzione di gravidanza».
«Di recente – dice il ginecologo, descrivendo una terapia fetale trattata con successo – una condizione malformativa linfatica come l’igroma cistico, gravato tra l’altro anche da un’alta incidenza di cromosomopatie è stata curata con una iniezione intralesionale di OK-432 (un concentrato liofilizzato sclerosante), che ha obliterato la comunicazione linfatica patologica, permettendo la nascita di un feto maschio sano di 3100 grammi alla 37° settimana. Questo dimostra – continua il ginecologo – come non bisogna arrendersi dinanzi ad alcune condizioni fetali considerate “inguaribili”, ma ricercare possibili terapie eticamente guidate per cambiare la storia naturale di molte patologie fetali». Al Day hospital ostetrico del Gemelli su 55 pazienti con markers di cromosomopatia, 11 donne (20%) hanno effettuato l’interruzione di gravidanza volontaria in un’altra sede senza aspettare una ulteriore precisazione diagnostica, assolutizzando il valore diagnostico dell’ecografia fatta dal primo ecografista contattato; 9 pazienti (16%) sono andati incontro a un aborto spontaneo, 22 pazienti (40%), che hanno raccolto l’invito a fare una precisazione diagnostica mediante una procedura invasiva (l’amniocentesi), l’analisi del cariotipo su liquido amniotico è risultata del tutto normale».
Molte condizioni malformative fetali non possono essere curate con approcci invasivi e non invasivi nella fase prenatale, ma è necessario preparare l’intervento nella fase perinatale, 8 giorni dopo la nascita o nei primi mesi dopo la nascita. «Individuata nella fase diagnostica la patologia fetale non trattabile prenatalmente vengono coinvolti ancor prima della nascita diversi specialisti, che integrano il counselling ostetrico alla coppia e migliorano il background clinico e psicologico della famiglia, il cui feto presenta l’anomalia congenita. Le analisi genetiche – continua Noia -, che rappresentano formidabili mezzi diagnostici a nostra disposizione, vanno gestite e utilizzate nella maniera corretta con una buona pratica clinica, e un accurato counselling, mettendo la coppia nella migliore condizione di scelta».
Tre sono gli obiettivi che il ginecologo deve sempre seguire nella sua attività clinica finalizzata sia alla difesa della vita nascente che all’impedimento di un accanimento terapeutico esecrabile, conclude Noia: «Informare correttamente, ottenere una valutazione globale del benessere fetale e supportare il principio di dignità e sacralità della vita umana. Per informare “correttamente”, è necessario spiegare le metodologie delle tecniche invasive della diagnostica prenatale e i rischi abortivi che possono comportare ma al contempo la possibilità di ottenere una riduzione dei rischi di anomalie. Il secondo obiettivo è quello di ottenere una valutazione globale del benessere fetale, con l’ultrasonografia, per individuare le terapie pre e/o perinatali da eseguire con un rischio proporzionato ed eticamente accettabile. L’ultimo obiettivo è quello di supportare il principio di dignità e sacralità della vita umana, anche quando il feto con un handicap di varia entità, non può essere sottoposto a terapia». In tal caso diventa atto terapeutico l’accompagnamento del feto terminale. Una buona scienza deve essere sostenuta da una buona etica e tutte e due insieme possono fare un servizio alla persona umana, alla coppia, alla famiglia, alla società.