Avvenire – Laura Badaracchi lunedì 5 settembre 2022
La memoria liturgica della santa, a 25 anni dalla morte, celebrata anche nel Centro di cure prenatali del Policlinco Gemelli. Il richiamo della religiosa: dovete sostenere fino al parto le ragazze
Si sono incontrati per la prima volta il 10 dicembre 1981 al Policlinico Gemelli di Roma: lui, ginecologo trentenne, che si era specializzato l’anno precedente; lei invitata per ritirare la laurea honoris causa in medicina che l’Università Cattolica le aveva conferita sempre preoccupata della vita nascente e dell’accoglienza dei bimbi non voluti. Per il professor Giuseppe Noia, Direttore dell’Hospice perinatale-Centro cure palliative prenatali “Santa Madre Teresa di Calcutta”, conoscere la suora con il sari orlato di blu ha significato prendersi cura dei bimbi ancora non nati, in particolare di quelli con patologie prenatali. «A noi medici disse di dare a lei i bambini non voluti», ricorda. E questo ha cercato di fare, curandoli anzitutto in grembo in caso di patologie e malformazioni, accompagnando migliaia di ragazze madri che le Missionarie della carità accolgono in una delle loro comunità a Roma. Cinque anni dopo, la sera del 1° dicembre 1986, Madre Teresa – di cui lunedì 5 settembre ricorre la memoria liturgica – aggiunse: «Voi medici siete privilegiati, perché quando toccate con le mani il corpo sofferente della gente e quando toccate con le parole il cuore sofferente, voi toccate in quelle persone il corpo e il cuore di Gesù sofferente: grande privilegio, ma grande responsabilità».
Passa quasi un decennio e la missione continua per entrambi. «La penultima volta che ci siamo visti era il 25 maggio 1996, poco più di un anno prima della sua morte», dice il professor Noia. «Voleva ringraziare tutto il personale di ginecologia e ostetricia che aveva supportato fino al parto le ragazze. “Quante?”, mi chiese. In 15 anni erano oltre 2.500. Riprese: “Sono poche, dovete superare le 10mila. Nulla è impossibile a Dio”. A 25 anni dalla sua morte, quel traguardo l’abbiamo ampiamente superato: aveva ragione lei», commenta. L’ultimo incontro nel luglio 1997, quando Madre Teresa gli indicò la «regola delle cinque dita» tutte le volte che si preparava ad agire, perché a ogni dito corrisponde una parola che compone questa frase: “Io faccio questo per Gesù”.
«A noi medici disse di dare a lei i bambini non voluti»
Dalla ricchezza di questi incontri è nata l’ispirazione, nel 2015, per la fondazione “Il cuore in una goccia” onlus che già nel nome parafrasa una delle esortazioni più famose della santa di Calcutta: «Sappiamo bene che ciò che facciamo non è che una goccia nell’oceano. Ma se questa goccia non ci fosse, all’oceano mancherebbe». Di qui l’idea di «mettere ognuno la propria goccia, perché arriverà all’oceano di Dio. Così la fondazione si impegna a sostenere concretamente un accompagnamento della vita nascente nella fede e nella speranza, intervenendo con i più alti standard medici, etici e scientifici. Si rivolge, dunque, alle famiglie ma anche al mondo scientifico con finalità di ricerca e diffusione di approcci fra medico e paziente per tutelare la dignità e la sacralità della vita nascente», spiega il professor Noia, co-fondatore della onlus insieme alla moglie Anna Luisa La Teano e all’amica Angela Bozzo, che si occupano rispettivamente «del braccio familiare-testimoniale e del braccio spirituale» in aiuto delle famiglie chiamate ad affrontare una diagnosi prenatale infausta, a volte terminale. Nell’Hospice intitolato proprio a Madre Teresa (e il prossimo 23 settembre ne aprirà un altro a Caserta) i genitori accompagnano i loro figli per poche ore o giorni, altri assistono alla loro guarigione o comunque alla loro cura grazie alle terapie prenatali invasive e non, anche palliative, sostenuti dalla preghiera e dal supporto concreto di tanti volontari. Tante piccole gocce che fanno la differenza.