Viaggiando itinerante per l’Italia, negli 8 mesi che hanno preceduto il referendum del 2005, ho imparato, ancora una volta, che la forza della verità è incredibile: bastava comunicare,con precisione scientifica e linguaggio accessibile, il protagonismo biologico dell’embrione, la sua intensa relazionalità biologica e psico-dinamica con la madre, e tutte le meraviglie della vita prenatale che negli astanti si generava uno stupore dinanzi alla vita nascente e i dibattiti diventavano molto spesso “contemplazione”.
E’ la forza della verità sulla persona umana la grande sfida culturale da affrontare non per agitare un vessillo di vittoria o di supremazia ideologica, ma per fare un servizio di chiarificazione del pensiero e di promozione del discernimento; non per alzare muri o steccati d’incomprensione, ma per costruire ponti di condivisione per essere più liberi e riappropriarci del vero significato di “umanità”.
Tutto quello che è stato fatto provocava una riflessione mirata a far vedere la grandezza e il mistero della vita: nello stesso tempo, però, questo processo stimolava il guardare. I due termini, simili, però hanno grandi differenze concettuali.
“Vedere” l’uomo è diverso dal “guardare” l’uomo.
“ Vedere” è una forma di comprensione dell’uomo, che si sofferma solo su alcuni aspetti della sua totalità, spesso quelli più appariscenti e talora meno importanti. Esso nasce da un riflesso fisiologico, appaga la percezione visiva, ma rimane in una sorta di limbo superficiale, non coinvolgente nel profondo, dimostrandosi in ultima analisi indifferente all’umana avventura.
“Guardare”, l’uomo, al contrario, è comprenderlo tutto, è entrare dentro la sua storia biologica e virtuale, è partecipare del suo destino tra gli uomini, illuminare la gente sulla sua complessità e bellezza, è abbracciarlo con la mente e con il cuore, è un gridargli continuamente un “I care” ( “mi prendo cura di te” ) sincero, in definitiva significa amarlo, dall’inizio alla fine.
Giuseppe Noia